popolo della famiglia logoMario Adinolfi

 

Sarà che alle quattro abbondanti del mattino ho visto LeBron James fare qualcosa di assolutamente sovrumano stoppando la palla decisiva per la vittoria di Cleveland in gara 7 delle finali Nba, sarà che i commenti televisivi sull’esito delle elezioni amministrative italiane erano noiosissimi come le banalità dei commentatori snocciolate davanti al Mentana cabarettista come davanti al Vespa cerimoniere, sarà che qui dietro l’angolo ci sono referendum Brexit e presidenziali americane con un duo mica da ridere, ma insomma proviamo a relativizzare le vittorie pentastellate in due importanti città italiane, che sono due irrilevanti puntini sul pianeta terra. Qualcosa è accaduto, senz’altro e ora ne scriveremo.

Ma quel che per noi è epocale nel mondo non esiste. Sarà bene saperlo, sarà bene capirlo.

Detto questo complimenti a Virginia Raggi e Chiara Appendino, due ragazze belle e toste del Movimento Cinque Stelle che hanno regalato un senso di compiutezza alla clamorosa intuizione visionaria di Gianroberto Casaleggio: prendere un movimento, fondarlo sulla democrazia diretta (da lui), usare per trombettiere un comico stranoto disinteressato all’incarico politico personale, shakerare bene e far bere la pozione a una valanga di signori nessuno, inebriandoli e portando i più fortunati tra loro a svolgere (sempre sotto tutela) funzioni politiche che in passato sarebbero spettate solo a politicanti di carriera. Lo slogan da tre anni è perfetto: tutti a casa. Ci sono riusciti, hanno mandato tutti a casa a Roma, ci sono riusciti anche a Torino e ora i pentastellati governano più di trenta comuni d’Italia, tra cui le due storiche capitali, quella unitaria sabauda e quella conquistata con la Breccia di Porta Pia.

 

Da queste parti comprenderete un po’ di scetticismo, ma siam di lungo corso. Abbiamo visto gli entusiasmi per Bettino Craxi trasformarsi in monetine ed esilio, quelli per Mariotto Segni diventare irrisione e oblio, la macchina da guerra di Achille Occhetto vincitore annunciato sfasciarsi per via di un “partito di plastica”, l’innamoramento per Mani Pulite e Di Pietro che si è fatto pure il partito buttato giù da una puntata della Gabanelli, pensa che radici solide. E poi abbiamo visto Gianfranco Fini leader amato dagli americani diventare il venditore di case a Montecarlo a causa di una bionda e del fratello, Silvio Berlusconi fare una finaccia e manco potersi più candidare per vie di nipotine di Mubarak e miss Calippo fan dell’Arcigay, Mario Monti accolto come intoccabile salvatore della Patria da tutti i giornali e telegiornali d’Italia che ora non può camminare per strada. E quant’era fico il governo delle larghe intese Letta-Napolitano e com’era fico Renzi a fare il patto del Nazareno. A Roma poi ci siamo fatti la rivoluzione del sindaco margheritino che si credeva Clinton e lo ricorderemo solo per essersi fatto fregare i soldi da un Lusi qualsiasi, quella del sindaco comunista che non era mai stato comunista e ora è ridotto a fare i cameo nelle brutte sitcom di Corrado Guzzanti, poi i saluti romani al Campidoglio e il marziano a Roma, esperienze raggrumate in un bel po’ di persone finite in galera. Insomma, in piedi non resta mai nessuno Fausto Bertinotti ci tiene a far sapere che non è più comunista, Massimo D’Alema si fa sbertucciare dai giornalisti che chiamava iene dattilografe, solo Romano Prodi tace come taceva una volta, ma come allora conta poco e niente.

 

L’ultimo quarto di secolo italiano abbondante si è risolto in una raffica di palingenesi annunciate e mai realizzatesi, in aspettative deluse, in leadership che si sono liquefatte alla prova dei fatti. Nel mondo ci abituavamo a personaggi magari contestabili ma solidi, da Obama a Putin, dalla Merkel a Papa Francesco, in Italia siamo sempre al solito carnevale. Ogni volta un nuovo giro di giostra, ogni volta una maschera diversa da idolatrare per un po’ e gettare tra la polvere nella disistima generale alla prima occasione.

 

Ora il tempo dell’idolatria riguarda il Movimento cinque stelle. Detto della vittoria oggettiva della straordinaria intuizione di Casaleggio, che poi somiglia tanto a quella di Lenin che voleva togliersi lo sfizio di vedere lo Stato “guidato da una cuoca”, possiamo provare ad abbozzare un lembo di analisi. Si parlerà qui prima delle ragioni della vittoria, poi del se si possa considerare questa vittoria un bene per il Paese e con quali prospettive di consolidamento.

 

I pentastellati vincono perché il Paese ha una maledetta voglia di novità. A Torino non si potrà giudicare negativamente l’amministrazione Fassino, che viene colpita semplicemente perché espressione del governo nazionale. Lo stesso avviene a Roma, con l’aggravante del disastro tutto capitolino dell’ultima consiliatura, ragione che porta il dislivello M5S-Pd all’incredibile abisso di trentacinque punti. I grillini azzeccano anche il casting: donne, giovani, gradevoli. Preparata la Appendino, molto meno la Raggi, che è pure più sfuggente ed imbroglioncella. Cerca di nascondere il disastro del suo matrimonio, cerca di nascondere l’amante, cancella le parti del suo programma più esposte a favore del mondo lgbt. Ma in fondo che conta? Avrebbe potuto esplicitare tutto, quando aveva il vento in poppa Berlusconi poteva averne pure cinquanta di amanti, tutta Italia lo sapeva e tutto gli perdonava. E’ quando il vento gira che l’Italia trova intollerabile che sia fedelissimo a Francesca Pascale. Tutta una questione di aria che tira. E ora e per qualche mese per il M5S le vele saranno piene di aria buona a far da propellente. Il “tutti a casa” ha funzionato, il progetto si è coronato.

 

Questa vittoria grillina è un bene per le città amministrate e per il Paese? Lo score dei sindaci pentastellati non è eccezionale, per via dei condizionamenti e delle continue risse interne, oltre che per una fondamentale inesperienza. Ma Roma e Torino non sono Parma e Livorno, quindi gli staff si doteranno di tecnici pentapallati e se lo faranno si può immaginare persino una buona prima fase amministrativa per le città. E per il Paese? A questa domanda si risponderà tra poco, ben sapendo comunque che questo successo politico si consoliderà e il Movimento cinque stelle si candida ad essere uno dei due protagonisti del ballottaggio finale per la conquista della maggioranza alla Camera alle prossime politiche con l’Italicum.

 

Il resto del campo è disastrato. Renzi non può gioire per Bologna e lo sa, mentre a Milano vince indicando il city manager di Letizia Moratti, uno che è di sinistra quanto Totti è della Lazio. Perde a Trieste persino dal centrodestra e avendo ricandidato il sindaco uscente e non basta la consolatoria (e comunque storica) vittoria di Varese strappata alla Lega dopo un quarto di secolo di dominio incontrastato per indorare la pillola. Il centrodestra, dal canto suo, è a pezzi e diviso, intriso di una devastante lotta di successione al leader che con il cuore ballerino non può più governare le tensioni pesantissime che scaturiranno da questo risultato elettorale. L’ottuagenario Berlusconi è ormai fuori gioco, Salvini e Meloni non bastano alla bisogna, alcune maschere terrificanti alla Maurizio Gasparri continuano a rappresentare pervicacemente il centrodestra nei talk show persino dopo aver portato Forza Italia al 4% a Roma, i volti “alternativi” alla Alfio Marchini e Stefano Parisi non hanno funzionato e si ritroveranno a fare i consiglieri comunali semplici di opposizione a Roma come a Milano. La tentazione in questi due campi sconfitti, il centrodestra come il centrosinistra, sarà di fare fronte comune contro l’avanzata grillina. Rischia di essere l’errore fatale.

 

Sullo sfondo c’è infatti il referendum costituzionale del 2 ottobre, che i grillini utilizzeranno per dare il colpo di grazia a Renzi e Renzi userà per dare prova della sua resistenza e rinascita. La guerra sarà senza esclusione di colpi e i fronti saranno compositi. Con i grillini si schiererà quel pezzo di sinistra che ha in odio Renzi e pure la destra che sinceramente vorrebbe sbarazzarsi del premier toscano, a mio avviso in realtà piuttosto residuale. Non voglio essere ambiguo, anche io voterò no al referendum, considero complessivamente pericolosa la riforma renziana anche se non mancano alcuni aspetti innovativi, inferiori comunque alle attese. Senza entusiasmo mi intrupperò con gli antirenziani da bava alla bocca, ai quali francamente non appartengo, convinto come sono che non sia per niente auspicabile passare dalla padella renziana alla brace grillina. Ma sarà il caso ora di spiegare due cose relative al nostro campo di gioco.

 

I cattolici che il 20 giugno 2015 festeggiavano con molti altri (non dimentico gli interventi di musulmani, evangelici, voci di altre confessioni religiose e anche tanti atei e agnostici preoccupati però di difendere la famiglia) il primo Family Day a piazza San Giovanni il 20 giugno 2016 possono trarre un bilancio. In un anno quell’esperienza, pur passata da un momento ancor più aggregativo come il 30 gennaio 2016 del Circo Massimo, ha misurato una sua sostanziale insipienza politica che si conferma oggi con la scelta di giocare tutta la partita in funzione antirenziana trasformato il comitato Difendiamo i nostri figli nel Comitato del No al referendum. Quegli stessi esponenti che hanno contestato al Popolo della Famiglia la scelta di diventare soggetto politico, lavorando quasi ossessivamente affinché il progetto non decollasse, si fanno soggetto politico nella maniera più politicamente cretina che possa essere immaginata: giocandosi tutto sul referendum del 2 ottobre che, se fosse pure vinto dal fronte a cui si sono aggregati, produrrebbe semplicemente la vittoria dell’area politica grillina che in materia di gender e principi non negoziabili ha un livello di oltranzismo che fa impallidire le posizioni del Partito democratico. In aula al Senato e alla Camera, nel corso della campagna elettorale per le amministrative, oltre che durante il dibattito sul ddl Cirinnà, i pentastellati hanno fatto mettere a verbale di essere a favore in maniera spinta di: matrimonio gay, adozioni gay, eutanasia, matrimonio multiplo per i poliamori, matrimonio interspecie, droga libera, attacco ai “privilegi fiscali del Vaticano”, cancellazione dell’otto per mille, divieto assoluto di finanziamento degli istituti non statali in articolari cattolici, rimozione dei crocifissi dai tribunali e dalle scuole e da tutti i luoghi statali. comunali e regionali, sì ai corsi gender nelle scuole e a leggi che facilitino l’accesso al cambio dei documenti per i transessuali anche in assenza di operazione chirurgica. Beppe Grillo irride platealmente la eucaristia e si fa riprendere in una finta “camminata sulle acque” atteggiandosi a Gesù, però Andrea Tornielli su La Stampa ci spiega che ci sono vescovi che votano M5S.

 

Qui veniamo al punto. I soli temi di interesse reale per chi si è battuto ai Family Day sono quelli dei principi non negoziabili. Io sono relativamente interessato a come verranno allocate le risorse derivanti dall’allentamento dei cordoni della borsa dell’Europa per venire incontro a Renzi, non mi interessano due spicci dati “alla famiglia” e ottanta euro di bonus estesi ai pensionati per vincere il referendum del 2 ottobre, sono gli artifici sempre usati dai governanti per comprarsi il consenso. Mi interessa però sapere se nelle scuole pubbliche partirà l’indottrinamento gender, se i nostri figli troveranno la droga libera in farmacia o dal tabaccaio per rovinarsi, se le femmine potranno scegliere di fare le prostitute “a partita Iva” come fosse una professione come le altre basta che paghino le tasse, se i vecchi li ammazzeranno invece di curarli in ospedale, se un medico potrà ancora essere obiettore di coscienza rispetto alla vergogna dell’aborto o sarà obbligato a uccidere bambini invece di farli venire al mondo. Mi interessa la libertà religiosa, la possibilità per la Chiesa di essere libera e libera significa anche non colpita sull’otto per mille che le permette di stare in piedi e tenere in piedi il ruolo di supplenza dello Stato che svolge in particolare nei confronti dei più bisognosi.

 

Se questi sono i temi, se questi sono i principi non negoziabili, renziani e grillini per me pari sono. La vittoria degli uni o degli altri è indifferente e forse i grillini sono più spregiudicati e privi di vincoli, più giacobini persino del giacobinismo anticattolico di buona parte del Pd. Non mi iscrivo dunque alla gara per abbattere Renzi e consegnare il Paese a Grillo. Credo, sempre più fermamente dopo questa tornata elettorale, che la questione centrale sia la costruzione e il radicamento e l’irrobustimento del Popolo della Famiglia, cioè di un soggetto politico autonomo dalle coalizioni che punti ad entrare in Parlamento superando il tre per cento dei consensi alle prossime politiche ed eleggendo persone vincolate al programma di sostegno alla vita, alla famiglia, ai principi non negoziabili

 

L’unica strada possibile per chi si è impegnato sui Family Day è contribuire a rendere forte questa prospettiva per poi incidere sul ballottaggio dell’Italicum in maniera interdittiva, garantendo in consensi al secondo turno solo a chi si impegnerà sulla nostra piattaforma programmatica in termini pubblici. Ogni altra posizione è residuale e accondiscendente rispetto all’esistente. Il Popolo della Famiglia ha già eletto suoi amministratori in questa tornata elettorale, ha centrato un 1.07% nazionale, ha trovato il sostegno e il voto di decine di migliaia di persone. Dovranno diventare un milione di voti alle elezioni politiche del 2017 ed è l’unica strada percorribile per chi non vuole uscire dalla messa e andare a votare, rassegnato, per chi ha varato le unioni gay in Italia legittimando l’utero in affitto o per chi ha nel programma il matrimonio plurimo, la droga libera, la cancellazione dell’otto per mille e l’eutanasia. Questa riflessione andrebbe compiuta anche dalla Chiesa di Papa Francesco, quella che si disinteressa di politica e nel frattempo fa scrivere a Tornielli che ci sono vescovi che votano Virginia Raggi. Altrimenti sarebbe una resa incondizionata, l’unica opzione che da queste parti non possiamo che rifiutare.

 

© http://www.lacrocequotidiano.it  -  20/06/2016