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Da Il Foglio 17 Magio 2005. Da ateo convinto Umberto Veronesi discetta con sicurezza di limbo, di anime e di san Tommaso d’Aquino sul Corriere della Sera, ma si rivela ancora una volta come un emerito incompetente. Veronesi farebbe meglio a ritornare a studiare il Catechismo e il Corriere della Sera avrebbe fatto più bella figura a chiedere al teologo e Papa Joseph Ratzinger che cosa insegna su questi temi la Chiesa cattolica. Comunque vediamo di fare un po’ di chiarezza.

1) Il limbo dei bimbi morti senza battesimo non è stato mai un dogma, come invece pensa Veronesi. E’ stato solo un’ipotesi di alcune scuole teologiche. Sfido il prof. Veronesi a trovare nel Catechismo della Chiesa cattolica la teoria del limbo. Per quanto riguarda ciò che la Chiesa crede effettivamente circa la sorte degli embrioni, dei feti e dei bambini morti senza battesimo, la Chiesa con la sua Liturgia eucaristica prega per loro e li affida alla misericordia infinita di Dio. Questa Messa esequiale non dice nulla del limbo, ma professa la fede nella salvezza di Cristo e nella misericordia divina.

2) Veronesi poi afferma: “San Tommaso fissa al terzo mese di vita la comparsa dell’anima”. Scopriamo così che il nostro Umberto è un bigotto tomista! Ma forse non ha mai letto alcuna opera di Tommaso. Perciò avrebbe fatto più bella figura se fosse stato zitto. Comunque si sappia una volta per tutte che l’affermazione di Tommaso non è una tesi dimostrata e incontrovertibile, ma è solo un’opinione che Tommaso presenta seguendo colui che riteneva il più grande scienziato per la sua epoca, cioè Aristotele. Ora, Aristotele ci offre due teorie relative al problema dell’unione dell’anima e del corpo nell’uomo. Nell’opera giovanile “La generazione degli animali” afferma l’ipotesi della animazione successiva, cioè prima è presente l’anima vegetativa, poi quella sensitiva, quindi quella razionale. Mentre nell’opera della maturità, cioè “La Metafisica”, insegna la teoria dell’animazione immediata, cioè l’anima è immediatamente data, e svolgerà progressivamente l’attività vegetativa, poi quella sensitiva, quindi quella razionale. Sono quindi due ipotesi, due teorie.

3) Tuttavia stupisce che Veronesi parli di anima senza sapere cosa sia, anzi dice che si tratta di un argomento scientifico. Ma professore, lei ha mai visto l’anima al microscopio? Il tema dell’anima è una questione filosofica. L’anima non coincide, come dice lei, “con il pensiero, con la psiche”. L’anima è il principio vitale e strutturante, ciò per cui vivo, mangio, dormo, cammino, vedo, ascolto, percepisco, ragiono, voglio, intuisco. E’ il principio che presiede e unifica tutte le attività dell’uomo, che dà forma alla mia corporeità. Insomma è il principio che dà ragione della vita: se sono un organismo vivente lo devo grazie alla mia anima.

4) Stupisce anche che Veronesi dica: “E’ ragionevole immaginare che l’anima, e secondo il pensiero cattolico la vita, entra nel corpo quando c’è un abbozzo di struttura pensante, di avvio dell’intelligenza”. Il nostro Umberto si fa interprete del pensiero cattolico, senza mai averlo approfondito. Cosa sconcertante! Se l’anima è il principio che presiede alla vita e all’organizzazione della corporeità, l’anima c’è simultaneamente alla corporeità, tant’è vero che è una nozione filosofica correlativa al corpo: il corpo è tale se c’è l’anima, se non ci fosse l’anima non sarebbe un corpo, ma un cadavere.

5) Stupisce ancora che Veronesi fugga nel filosofico quando si tratta di una questione biologica. Stupisce che Veronesi invochi il principio di autorità, l’ipse dixit, su di una questione e in una disciplina dove il principio di autorità non funziona. Infatti, interrogarsi su chi sia l’embrione della specie umana è una questione innanzitutto biologica. Ora, la scienza moderna non si fonda né sul principio di autorità, né sul sapere di rari cultori di arcane discipline, ma sul complesso delle conoscenze consolidate, convalidate e condivise dalla comunità scientifica internazionale dei ricercatori attraverso gli strumenti della letteratura scientifica (le migliaia di riviste scientifiche sulle quali appaiono i risultati dei lavori sperimentali degli studiosi, le rassegne e i manuali di riferimento). Nella scienza moderna, e quindi anche in biologia, ciò che conta è la forza delle evidenze che si ricavano dalle osservazioni e dagli esperimenti, la forza delle evidenze tratte dall’esercizio corretto della ragione. Non conta il nome, per quanto altisonante e prestigioso, di chi fa un’affermazione. Non ha senso citare uno, cinque o dieci premi Nobel, soprattutto quando non sono studiosi di quella disciplina: non vale l’ipse dixit. Per sapere se l’embrione umano è qualcosa o qualcuno dobbiamo bussare non all’autorità di un filosofo, né alle opinioni di questo o quello scienziato, neppure se è premio Nobel, ma alle evidenze sperimentali della biologia dello sviluppo, una disciplina relativamente recente. Basti pensare che Aristotele è morto nel 322 a. C., san Tommaso d’Aquino nel 1274, ma solo nel 1827 von Baer identificò l’oocita femminile e solo cinquant’anni dopo fu scoperto il processo della fertilizzazione. Dalle migliaia e migliaia di articoli scientifici che descrivono lavori sperimentali, dalle centinaia di rassegne e di manuali di riferimento, che sono stati convalidati dalla “recensione alla pari”, sappiamo che il ciclo vitale di un nuovo organismo vivente ha inizio con il processo della fecondazione, che consiste nella fusione tra lo spermatozoo e l’oocita.
Sono proprio gli ultimi studi della biologia dello sviluppo, forse troppo recenti per essere noti ai più, comunque già da tempo divulgati su riviste scientifiche, che ci dicono che già l’embrione umano a una cellula si comporta come un individuo vivente singolare. Ad esempio, migrando nella tuba di Falloppio, inizia a moltiplicare le cellule di cui si compone e a specializzarle e invia all’ovaio materno dei segnali (il cosiddetto cross-talking, o dialogo incrociato) e l’ovaio inizia a secernere dei mediatori di natura proteica (citochine e fattori di crescita) che preparano l’utero all’annidamento dell’embrione, favoriscono la proliferazione delle cellule dell’embrione stesso e fungono anche da immuno-soppressori, cioè evitano che l’embrione sia percepito come un nemico e sia, perciò, espulso. Queste osservazioni sperimentali, convalidate da migliaia di articoli scientifici della letteratura internazionale, dimostrano a sufficienza che l’embrione già a una cellula è un essere vivente (perché la moltiplicazione e la specializzazione delle cellule è l’attività tipica della vita) e che la relazione tra madre e figlio allo stadio embrionale inizia molto prima della cosiddetta cerebralizzazione.
Perché Veronesi vuole ignorare i dati della biologia dello sviluppo appena ricordati e sostenere l’ipotesi arcaica di Aristotele o di san Tommaso? Perché riproporre una semplice osservazione a occhio nudo quando oggi possiamo usufruire di strumenti ben superiori come il microscopio ottico e gli strumenti ecografici?

6) Perché Veronesi continua a ripetere che l’embrione umano è “solo un ammasso di cellule”? Affermare questo significa ridurre tutto alla pura quantità. L’embrione umano vivente non può essere assimilato all’insieme di cellule ematiche della sacca di sangue che doniamo all’Avis, perché le cellule ematiche della sacca non si moltiplicheranno mai, né si differenzieranno (altrimenti l’Avis non avrebbe ragione di essere), mentre le cellule che compongono l’embrione si moltiplicano e si specializzano da se stesse. Se lasciamo che l’embrione viva, evidentemente.

7) Che quello di Veronesi sia un riduzionismo puramente quantitativo, lo si capisce da quello che aggiunge dopo: “Uno scimpanzé che cos’è? Un essere vivente con una differenza minima nel genoma rispetto all’uomo. Talmente minima, i geni sono uguali al 99,5 per cento, che potenzialmente potrebbe essere un progetto di uomo. E allora perché non tutelare anche lui? La Chiesa in realtà ha una visione antropocentrica: solo l’uomo conta. Ma io che sono animalista e vegetariano chiedo provocatoriamente perché non tuteliamo anche gli embrioni degli scimpanzé, anch’essi sono progetti di esseri umani”. Siamo arrivati al delirio! Obietto a Veronesi: ammesso anche che più del 90 per cento del mio peso sia costituito da acqua, da questo dato puramente chimico e quantitativo posso concludere che sono acqua? Se dicessi che sono acqua, o se dicessi, come dice Veronesi, per il 99,5 per cento i miei geni sono simili a quelli dello scimpanzé, ridurrei tutto alla pura osservazione quantitativa. Ma la quantità è solo una fra le tante categorie del reale. Esiste almeno anche la qualità, la vita è una qualità e le differenze tra me e l’acqua, tra me e lo scimpanzé sono differenze qualitative. Ma forse tra Veronesi e l’acqua e tra Veronesi e lo scimpanzé…

Seguire questo delirio proposto da Veronesi significa rinunciare alle recenti scoperte della biologia e fare dell’archeologia biologica puramente dogmatica. Che la retta ragione, Aristotele, san Tommaso e papa Ratzinger ci liberino da questo pericolo incombente e disumanizzante.