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demonio-mascheraM. OLIVETTI - Avvenire
Fra le cose istruttive di questo periodo di festa, la lettura dell’articolo con cui Stefano Rodotà ha celebrato, sulla prima pagina di Repubblica di ieri, i 60 anni della Costituzione, merita certo una menzione. Nonostante che l’autore sia professore di diritto civile, e non un costituzionalista (dunque non un esperto della materia), sorprende il volume di inesattezze e di fraintendimenti concentrati in poche righe, al punto che viene da chiedersi se Rodotà, nel celebrarla, stia parlando davvero della Costituzione italiana vigente, o si riferisca piuttosto a una costituzione immaginaria, a un mito più adatto a una Repubblica sovietica di ieri che allo Stato italiano di oggi. Secondo Rodotà, stanno nascendo «costituzioni parallele» a quella vigente «che mirano a mettere in discussione, o a cancellare del tutto, la prima parte della Costituzione italiana, quella dei principi, delle libertà e dei diritti».
Ci verrebbe da applaudire, pensando ai numerosi stravolgimenti della Carta – di quelli graditi a Rodotà e ai suoi – dove si vi leggono contenuti improbabili, come l’obbligo di una tutela giuridica delle coppie di fatto, l’eutanasia (quantomeno passiva) e il diritto alla selezione degli embrioni in occasione della fecondazione assistita.   Ma il nostro autore afferma che il più noto di questi attacchi «è quello che le gerarchie cattoliche perseguono ... affermando la superiorità e la non negoziabilità dei propri valori e denunciando il relativismo delle Carte dei diritti, a cominciare dalla Dichiarazione universale dell'Onu del 1948».
La replica è sin troppo agevole: i valori difesi dai cristiani italiani sono proprio quelli scritti nella Costituzione italiana, come la centralità della famiglia e i diritti inviolabili della persona umana. Esattamente quelli che si calpestano in nome di un individualismo radicale, che pervade ogni parola dell'articolo di Rodotà e che - esso sì - è estraneo alla Costituzione del 1947. Quanto alla Dichiarazione universale del '48, davvero sarebbe consigliabile rimeditarla: vi si troverebbe una visione dell'uomo molto più consona alla dignità umana difesa dai cattolici italiani, che alle deviazioni radicaloidi cui talora indulgono alcune strutture dell'Onu. Ma tant'è: i testi non piacciono a Rodotà, il quale, maître-a­penser di una scuola sempre più dominante, ritiene evidentemente che in essi si possa 'leggere' qualsiasi cosa. Sicché chi si appella all'articolo 29 della Costituzione italiana, che definisce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, per desumerne limiti alla discrezionalità del legislatore che intervenga in questo settore, viene ritenuto portatore di una lettura «angusta», «già superata negli anni '70» (epoca dell'uso alternativo del diritto, che Rodotà forse rimpiange, ma che era la via giudiziaria al socialismo reale). Su altri temi, come la sicurezza del lavoro e il trattamento degli stranieri, si può invece concordare, nel merito, con i rilievi di Rodotà.
Non senza rilevare anche qui leggerezze nella lettura del testo costituzionale che sarebbero disarmanti pure in un interprete meno navigato. Egli, inoltre, scambia la Costituzione con la Carta dei diritti dell'Unione Europea (trascurando il dato - non marginale per un giurista - che questa non è in vigore) e tralascia anche la rilevanza della distinzione fra cittadini e stranieri, che emerge con chiarezza nella prima parte della nostra Carta.
La quale, forse, su alcuni punti è effettivamente invecchiata e andrebbe sapientemente e prudentemente adeguata ai tempi (ad esempio con una buona riforma della cittadinanza), invece di lanciarsi in acrobazie interpretative che offendono l'intelligenza dell'interlocutore. Ma, al di là di tutto ciò, il difetto sta nel manico.
L'articolo di Rodotà è istruttivo, si diceva, perché è l'esempio estremo delle letture che rendono alla Costituzione il peggior servizio.
  La usano per ricavarvi la risposta desiderata a qualunque domanda. Uno, nessuno e centomila, diventano i suoi significati. E siccome per gli eredi dell'uso alternativo del diritto non v'è alcun limite alla manipolazione dei testi, è aperta la via a un vizio molto diffuso oggi: il massimalismo costituzionale, per cui ognuno vuole tutto - e nulla meno di tutto - dalla Costituzione, dimenticando che essa è un compromesso fra visioni diverse, non certo un manifesto di una cultura di parte.
Chi auspica che la Carta del 1948 continui a essere un riferimento utile per la vita civile ha invece bisogno di un metodo diverso, e soprattutto di riscoprire il significato storico del documento approvato 60 anni fa.