Domenico Bonvegna

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Domenico Bonvegna

 

Le vacanze estive sembrano fatte apposta per le riflessioni sui mali endemici che affliggono il nostro meridione. Guardando i soliti giornali online a cui faccio riferimento, ho trovato degli ottimi servizi. Uno fra tutti quello di Daniele Quinto su Lanuovabq.it: “La desertificazione industriale. Il Sud cola a picco tra assistenzialismo e criminalitàe poi altri due interventi interessanti da Siciliainformazione.com.

Tutti sono concordi nel ribadire che il meridione è al collasso economico. Anche se non bisogna mai dimenticare trattando questi argomenti che il Sud, l'attuale Meridione, prima dell'Unità d'Italia non era una questione, non era povero come oggi, ma questo è un altro discorso che abbiamo affrontato in altre occasioni.

L'editorialista de La Nuova Bussola fa parlare i numeri ripresi dal rapporto Svimez, che sarà diffuso nei prossimi giorni.

Negli ultimi dieci anni, nel Sud, c'è stato un calo industriale (nazionale e internazionale) quasi del 50%, mentre al Nord del 14,8%. Negli ultimi 4 anni la produzione industriale è diminuita del 22%, questo ha prodotto meno investimenti e aumento della disoccupazione (141 mila posti persi e 300 mila i senza lavoro e un tasso di disoccupazione dei giovani che sfiora il 50% . Tutto questo comporta il rischio della scomparsa dell'industria al Sud (quelle poche che resistevano). Sono numeri agghiaccianti, per quanto riguarda il futuro del Mezzogiorno.Le cause? Si chiede Quinto. Tutte conosciute: la presenza di una burocrazia che è stata alimentata, nel corso dei decenni, dalla logica perversa del clientelismo; il costo del denaro più alto rispetto al Nord; l’insicurezza di chi potrebbe investire, perché ampi territori del Sud sono dominati dalle organizzazioni criminali e dal loro rapporto con la pubblica amministrazione; la mancanza di infrastrutture; la scarsa qualità dei servizi; l’assenza di prospettive di governo di questa realtà e via dicendo. Le conseguenze? La diffusione endemica della povertà, come ha documentato l’ISTAT, nella ricerca diffusa in questi giorni, in base alla quale un quarto dei poveri vive al Sud”. (Daniele Quinto, Il Sud cala a picco tra assistenzialismo e criminalità, 19.7.13 Lanuovabq.it)

Gaetano Salvenimi nel secolo scorso per il riscatto del Sud, proponeva di responsabilizzare la classe politica e le popolazioni del Sud, invece di indulgere nei confronti del meridionalismo, che cerca di trarre “motivi di giustificazioni per l'assistenzialismo paternalistico ed il parassitismo”.

A distanza di un secolo la proposta è sempre la stessa. Intanto in questi decenni,“(...) l’assistenzialismo ha finito per deteriorare la qualità delle classi dirigenti meridionali, indebolendo la loro capacità di governo e la loro visione strategica, salvaguardata dalla certezza che a ripianare i disavanzi avrebbe provveduto lo Stato con i suoi interventi”. Sono stati anni dove ha trionfato la politica d’accatto, che ha fatto strame di un territorio, depredandolo delle sue risorse, intellettuali e umane e offrendogli solo miserevole assistenza, quando andava bene. Non uno straccio di proposta che affranchi questa parte d’Italia dalle sue miserie. Da parte di quella classe politica e imprenditoriale, che ha praticato, per sopravvivere a se stessa, un connubio strettissimo con la criminalità, organizzata e no, che si spartisce posti di potere e di sottopotere in una girandola vergognosa di malversazioni e di corruzione, che ha fatto crescere nella società civile, divenuta connivente, la convinzione che tutto possa essere comprato. La vita, i bisogni, le speranze”. Pertanto, senza un buon governo, senza buona amministrazione e senza, soprattutto, assunzione di responsabilità della classe dirigente meridionale, nessuna politica a favore del Sud, quindi a favore del Paese, può avere successo. E soprattutto Quinto auspica una crescita culturale della popolazione meridionale per conseguire quell'identità perduta. Devono essere i popoli meridionali ad uscire dal degrado che li circonda, “Devono, acculturarsi, conoscere, formarsi, respirare aria pulita. Far crescere i loro figli, sin da bambini, nella necessità di accumulare sapere e saperi, di praticare le regole e i doveri, che sono l’essenza dell’esercizio della libertà. Come? Mettendosi “in gioco”, cercando di testimoniare la verità sulla vita a cui sono costretti, priva di decoro e di prospettive per le quali valga la pena essere al mondo. Ci vorranno generazioni? E’ possibile. L’alternativa è prendere atto che il territorio del Sud d’Italia è nella sua interezza estraneo ad una prospettiva di civiltà”.



 

 

A rafforzare la tesi di Danilo Quinto in merito al totale degrado sociale e culturale dell'intero meridione, che ho presentato, segnalo altri due interventi apparsi sul giornale online siciliainformazioni.com , che si riferiscono in particolare alla Sicilia. Il primo fa riferimento ai recenti scandali della formazione in Sicilia, dove sono coinvolti politici e familiari.“E in questo caso, ci si rende conto che la ferita è molto profonda e in un certo senso è strutturale al sistema regionale (...)Dall’analisi attenta del settore della formazione, emerge con chiarezza che questo settore era stato ridotto ad una fabbrica di impiego che si trasforma a sua volta in fabbrica di consensi elettorali (voto di scambio?) e di condivisione famigliare e sociale. Ampliando l’analisi agli altri settori, ci si rende conto che la stessa dinamica vale anche per quello dei forestali, delle imprese pubbliche o a partecipazione regionale… Esaminando il bilancio della Regione e degli Enti pubblici o quello degli Enti privati falliti o salvati in extremis, ci si rende conto che oltre l’80% del bilancio regionale è costituito dal pagamento degli stipendi”.(E. Coniglio, Dagli scandali della formazione ai nuovi modelli. Sicilia scossa dagli scandali: c’è una classe burocratica da eliminare, 19.7.13, siciliainformazioni.com).

“In una parola, - scrive Coniglio - la Sicilia consuma un reddito che non produce; è stata trattata come una colonia funzionale al sistema produttivo del Nord e del Centro d’Italia. E’ mancato dal dopo guerra ad oggi l’elaborazione per la Sicilia di un piano organico ed efficiente di sviluppo economico sostenibile. Non si è voluto creare un sistema produttivo vocato alle risorse e una adeguata e conseguente cultura gestionale senza la quale nessun sviluppo è ragionevolmente possibile. E questo non è stato fatto neppure nel 2001 quando ben 61 deputati siciliani di Forza Italia sono andati compatti al parlamento italiano e potevano cambiare radicalmente le cose”. Peraltro non c'è da scandalizzarsi troppo secondo Coniglio se i siciliani disoccupati o privi di reddito che non vogliano morire di fame e vogliano trovare un lavoro e vivere dignitosamente, si aggrappano a tutte le opportunità offerte nella terra in cui hanno avuto la ventura di nascere non certo per loro libera scelta. Piuttosto,“ c'è da scandalizzarsi e far saltare il tavolo verso quelle persone e quelle istituzioni siciliane e non siciliane che hanno provocato questo disastro strutturale nel corsi dei decenni e che naturalmente emerge in maniera impietosa e con maggiore forza nei momenti di gravissima crisi mondiale come quella attuale”.

L'editorialista di siciliainformazioni.com si affretta a ribadire che“non si vuole certo giustificare chi ha violato la legge e ne ha tratto profitti illeciti ma non ci si può fermare a questo. Occorre rimuovere le cause strutturali, individuare i responsabili di questo disastro strutturale che dura da decenni complicandosi sempre di più e voltare definitivamente pagina”. Ma come si può verificare questo cambiamento?”Occorre un nuovo ordine strutturale che assicuri solide convinzioni etiche, una ampia formazione nei settori trainanti, l’uso massiccio della innovazione e investimenti produttivi nazionali ed internazionali tali da mettere in moto un nuovo modello di sviluppo. Occorre eliminare una intera classe burocratica. Ancora più perniciosa rispetto a quella politica.

“Un lavoro da far tremare i polsi - scrive Coniglio - e che ci convince che lo scandalo e l’atto di scandalizzarsi in fondo sono atti puerili se non vengono accompagnati in maniera sinergica da una ferma volontà di riscatto e di rinascita che rimetta al centro dell’impegno di tutti la Sicilia nelle sue componenti locali e globali (...)non certo della finanza internazionale e delle multinazionali che fino ad ora hanno trattato la Sicilia come terra di conquista”.

Il secondo intervento fa riferimento al degrado del capoluogo siciliano, Palermo: una pallida metafora dell'isola che non c'è.“Non ci sono soldi, ci sono problemi irrisolti da decenni. Mancano servizi decenti, la città non offre opportunità’ di lavoro, le imprese e i negozi boccheggiano o chiudono. L’istruzione è modesta, la sanita’, con eccezioni lodevoli, è povera”. (Palermo infelicissima vuol diventare capitale di tutto, 21.7.13, in siciliainformazioni.com)

Pertanto scrive l'editoriale del giornale online:Se la Sicilia è la metafora del Paese, Palermo è la metafora della Sicilia. Si sente il sale della terra mentre rinuncia a se stessa. Riflettete per un istante: Palermo è una citta’ di mare, ma coloro che la abitano il mare non lo vedono mai. Palermo ha più verde, o quasi, di ogni altra metropoli italiana, ma i parchi e le ville vivono una vita appartata, da separati in casa, si nascondono agli abitanti, si negano alla vista”. Il fondo del giornale insiste, Palermo dovrebbe essere una città d'arte come Firenze, Venezia, Roma, invece niente, “La cultura, il mare, l’arte sono negati da barriere di cemento invalicabili, montagne di rifiuti immondi, lo stato di abbandono delle periferie, dalla soffocante quantita’ di autovetture, dall’insicurezza e dall’abuso”. E questa è la “capitale” della Sicilia, figuriamoci le altre città.

Un'ultima indicazione finale in merito al degrado socioeconomico del Sud, che spesso viene indicato come“questione meridionale”, bisognerebbe fare una attenta riflessione in merito alle sue cause che sono remote, in particolare occorre risalire a come è stata fatta l'unità del Paese ad opera del nuovo Regno d'Italia, a danno del Sud, che è stato aggredito e conquistato militarmente, schiacciato e indebolito nella sua forza vitale.“Si pensi a ciò che avevano rappresentato nel mondo la Repubblica di San marco e il Regno di Napoli, la prima nelle feconde relazioni con l'Oriente, la seconda in tutto il Mediterraneo, soprattutto nei rapporti con la Spagna e con le sue proiezioni nelle Americhe (...)L'unità risorgimentale fa venir meno dei poli istituzionali di grande rilievo nel contesto internazionale, onde l'Italia viene privata di proiezioni e di riconoscimenti densi di significato storico e forieri di promettenti sviluppi economici soprattutto nell'oriente europeo, nonché nelle terre bagnate dal mediterraneo, ove Venezia, Napoli, Messina e Palermo avevano esercitato per secoli ruoli gloriosi”. (Mauro Ronco, La questione istituzionale dopo l'unità d'Italia, in Cristianità, gen.-marzo 2012, n.363)