Domenico Bonvegna

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Secondo il professore Tommaso Romano, il marchese Mortillaro oltre ad essere un colto letterato e uomo di scienza, polemista, uomo d'azione e pensatore, dalla lettura dei sui numerosi volumi e articoli si può senz'altro inscrivere fra la schiera illustre dei controrivoluzionari tradizionalisti e cattolici dell'ottocento che, “facendo memoria della giovinezza passata nei Gesuiti, seppe dare concreto valore al trinomio Preghiera, Azione, Sacrificio, livrea che con spirito cavalleresco nobilmente indossò illuminandola sempre di realismo piuttosto che di utopia”. Tra l'altro è il trinomio che utilizzato nel 1973, Giovanni Cantoni, fondatore di Alleanza Cattolica, nella prima pagina del primo numero della rivista Cristianità.
 Sulla rivista “Presente” si occupò di storia recente, di temi evangelici, di matrimonio civile e di leggi sul brigantaggio, di perequazioni poliziesche, dell'imposta fondiaria e di ferrovie, della tassa della successione e di progetti per l'incameramento forzato dello Stato dei beni ecclesiastici. Scrisse anche circa l'istruzione e l'educazione, sulla magistratura, sul primato del cattolicesimo come religione di stato, sull'accentramento amministrativo e lo statalismo.
 Il Mortillaro non ha accettato come un fatto ineluttabile l'unificazione dell'Italia, ha da subito pubblicamente criticato per i suoi effetti devastanti. “Per questo non troncò mai – scrive Romano – i contatti operativi con il 'Ministero e Reale Segreteria di Stato della Presidenza del Consiglio dei Ministri' (così testualmente in esilio si denominava il governo borbonico, ancora peraltro riconosciuto da alcuni Stati) né con lo stesso sovrano delle Due Sicilie”.
 Infatti il 7 novembre 1862 il marchese Mortillaro riceveva l'onorificenza borbonica di commendatore con Placca del Real Ordine di Francesco I, nonché essere insignito della dignità di principe di Campofiorito. “In effetti, scrive Romano, Mortillaro non solo era capo dei borbonici e autonomisti ma suo teorico, collegato strettamente con i clericali e artefice di contatti strategici con antichi rivoluzionari ora delusi dalla rivoluzione, come avvenne per Giuseppe Badia, longa manus operativa dei disegni di restaurazione del Mortillaro”.
 Naturalmente contro il marchese si scatenò pesantemente l'ira rivoluzionaria di tutti i giornali democratici-progressisti e liberali governativi. Nel 1866, l'anno della rivolta del “Sette e Mezzo”, “la più grande insorgenza popolare antiunitaria siciliana che vide l'unione di tutti gli oppositori in un solo fronte”, Mortillaro venne arrestato, accusato di essere il capo del partito borbonico autonomista siciliano e di aver organizzato la rivolta d'intesa con il ministro romano dell'ex re delle Due Sicilie Francesco II. Venne inoltre accusato di aver progettato uno sbarco di borbonici, legittimisti e briganti calabresi a Messina per proclamare la Monarchia Costituzionale il cui re sarebbe stato Francesco II, con capitale provvisoria a Messina, dove sarebbero accorsi subito, per legittimare il nuovo Regno, gli ambasciatori di Spagna, Russia, Austria e Turchia, che ancora non avevano riconosciuto ufficialmente il nuovo regno d'Italia. Inoltre Mortillaro fu accusato di assumere l'incarico di capo del nuovo Regno.
 Finita la rivolta, dopo la nomina a prefetto di Palermo del Marchese Antonio di Rudinì, sindaco della città di Palermo, il Mortillaro fu liberato dopo nove mesi di prigionia. Nonostante i guai e le pene anche familiari, Vincenzo Mortillaro continua a produrre testi scientifici e a scrivere e pubblicare volumi, intrattenendo contemporaneamente rapporti epistolari e incontri con personaggi appartenenti al mondo delle scienze, delle lettere e delle arti quali l'astronomo Angelo Sechi e il diplomatico barone Alessandro Hubner. Il marchese lascia questa terra il 26 luglio 1888, nella sua casa dell'Albergheria, con la benedizione papale di Leone XIII.
 Per conoscere la dottrina, le opinioni e i principi professati da Mortillaro, Tommaso Romano, nel suo “Contro la rivoluzione la fedeltà”, edito da ISSPE nel 2011 (pag356), ha ritenuto scegliere alcuni capitoli tratti dalle Opere del marchese che ben rappresentano il corpus del suo pensiero etico-politico, storico, istituzionale, religioso e sociale.
 Mortillaro era convinto che la natura delle rivoluzioni politiche, “godeva di radici filosofiche solide che affondavano nella ribellione all'ordine divino avvenuta a causa del tramonto delle istanze ideologiche tipicamente medioevali con il conseguente trionfo del Protestantesimo, del Razionalismo, dell'Utopismo e, quindi, dell'Illuminismo e delle massonerie, in una parola con l'approdo allo spirito della modernità, tanto condannato da Pio IX specie nel Sillabo e da Leone XIII che il marchese salutò quale provvidenziale pastore”. Sono temi cari che il professore Plinio Correa de Oliveira, fondatore della Tfp brasiliana, ha ben illustrato nella sua opera più celebre, Rivoluzione e Controrivoluzione.
 “Mortillaro fu, dunque, un lucido avversario di un tale sovversivo mutamento spirituale e sociale che, oltre a scuotere regni e sovranità legittime, mirava allo sradicamento identitario e religioso, attraverso una regia, ora occulta ora palese (...)”.
 Il marchese Mortillaro fu un vero profeta, per quanto riguarda il socialismo, criticato e ritenuto pericoloso progetto di distruzione dell'ordine sociale. Oltre a citare l'opera di Joseph de Maistre, c'è quella diDonoso Cortes, due colonne della tradizione cattolico-controrivoluzionaria, sempre presenti nel pensiero di Mortillaro.
 Fedelissimo al Magistero della Chiesa il Mortillaro osservava che “Lo stato moderno, in Italia è in lotta con la Chiesa: è una guerra a morte che non ammette tregua, né capitolazione, non compromessi, non perdono. Non è perciò tollerabile, secondo il Nostro, che i cattolici, dimentichi del magistero pontificio, in nome del liberalismo, si pongano in dialogo con l'errore, con le teorie putride di Lucrezio, con le assurdità di Rousseau, con le infamie di un Machiavelli”.
 Nelle pagine sul Nuovo Papa, Leone XIII, Mortillaro ribadirà il grande valore del pontificato di Pio IX, denunciando il disegno laicista e ateista, nei suoi confronti, contro l'autentica tradizione millenaria dei popoli che furono sempre sacralmente guidati dal cristianesimo. Scrive Romano: “Alle solide argomentazioni metapolitiche e storiche, il marchese unì sempre, nella sua zelante intransigenza, la nobiltà della pietas e la valutazione misericordiosa del soldato di Cristo”.
 Pertanto secondo Romano paradossalmente, l'oblio secolare dell'opera di Vincenzo Mortillaro ne garantisce, la grandezza e l'obbligo, di presentarlo, riscoprendolo e soprattutto farlo conoscere a chi ancora crede che il nostro Paese possa salvarsi con l'azione della buona politica.
 
Rozzano MI, 13 marzo 2013                                                     DOMENICO BONVEGNA
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