Questo il nucleo centrale della scelta di Mattarella:

Ho chiesto, per quel ministero, l'indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con l'accordo di programma. Un esponente che - al di là della stima e della considerazione per la persona - non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell'Italia dall'euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell'ambito dell'Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano. (Vd qui nel Discorso del Presidente Mattarella).

Non ha alcun senso attaccare faziosamente la persona di Sergio Mattarella e la sua figura istituzionale. È un esercizio perso, oltre che sbagliato; umanamente e civicamente. Quello che occorre è criticare (quindi non attaccare) le motivazioni addotte e, se vogliamo, la verifica delle medesime nel contenitore costituzionale che non è comprensibile se non alla luce dei Fondamenta della Costituente. Ma non ci addentriamo su questo punto del Diritto Costituzionale, per ora; andiamo piuttosto alla visione ed alla critica delle motivazioni.

Quando si critica una posizione non si cade nel dileggio della persona. Né nel deprezzamento di una figura istituzionale, ma si chiede il “perché”, cioè ci si aiuta ad andare al fondo della questione, che poi è il senso più autentico della politica. La politica che infatti si riduce a date, obiettivi, scadenze e strategie ha smarrito sé stessa. Non è più arte del Bene Comune, ma esercizio cosificante di micro-obiettivi e di personali interessi, legati a prestigio, potere, posizioni, remunerazione economica o di consenso. Ma questa non è politica ma la sua deformazione. Non è la cura, ma la malattia. Tanto che, proprio nell’ottica ordinaria, la “politica” è vista con sospetto dal senso comune perché ha smarrito il senso autentico del Bene Comune che è quello di crescere democraticamente nel “perché” per dare alla persona ed alla compagine sociale il senso autentico seminato in questo “perché” e nutrire il “come”. Se però ci si dimentica di chiedere il perché, presi dagli obiettivi, si cade in deformazioni della politica che diventano, inevitabilmente scontri salatissimi che danneggiano il “Bene della Polis” e non calano autenticamente le scelte operative.

Certo la posizione del Presidente Mattarella era delicata, anzi delicatissima, stretta ad imbuto da una forte ed inaspettata risposta “populista” del governo giallo-verde. Ma tale proposta andava “significata” per essere ri-educata alla spinta “buona” che essa ha in sé. Anche il populismo, di per sé pericoloso, cela una domanda, una richiesta, un perché.

Ogni spinta di politica operativa cela un perché politico. Se ragioniamo solo sul “come” non andiamo mai a riflettere sul “perché”, cioè proprio nel dare all’Italia risposte adeguate. Anche l’Europa non viene significata. Essa perde il desiderio e i desideri alla base della sua fondazione; l’Unione Europea infatti è nata sotto desideri che sono ben lontani dalla compagine attuale ed appunto si rischia di rafforzare modalità economicistiche e tecnocratiche invece che “cambiarla in meglio dal punto di vista italiano.”

Dunque, per dare questo quid occorre stare attenti a non rafforzare comportamenti politici inadeguati.

Siamo certi che non dare il veto avrebbe aperto la strada all’uscita dell’Italia dall’Euro? Siamo certi che l’irrigidimento della nomina di Savona su proposta al Presidente della Repubblica andava affrontato con una scelta politica di veto attuando una crisi? Siamo certi che la prospettiva politica personale del Presidente Mattarella, da tempo vicino al Partito Democratico (in idea e “de facto”), fosse adatta al suo ruolo e a questa scelta?

Le scelte politiche non sono mai neutre ma hanno di fondo una prospettiva pre-politica, antropologica e sociale chiara. Ci si deve chiedere se il modello difeso da chi propone la figura di Savona fosse adeguato e nel contempo ci si deve chiedere se la scelta alla base del Presidente Mattarella sia stata adeguata a breve e a lungo termine.

Se nel paese non si torna a discutere sul “perché”, non per mero esercizio retorico ma per “significare” le scelte, si oscilla tra due opposti che celano il malgoverno: la olocrazia e l’oligarchia. Entrambi non fanno il bene della democrazia perché non la nutrono, non la informano, non la fanno crescere nell’ottica del Bene Comune. Entrambe le visioni hanno il veleno dell’individualismo ed una cattiva risposta al medesimo. E si apre al fazionismo in un continuo e mai finito alternarsi di giochi di forza dispendiosi.

Certamente la risposta da “zibaldone valoriale” del populismo giallo-verde è dannosa, come lo è la risposta, di fatto, oligarchica ed “economica” sostenuta da chi finora ha governato, più o meno “tecnicamente”, espropriando la democrazia italiana ed anche la democrazia della compagine europea.

Occorre una risposta terza che dia ossigeno ed unisca al meglio il “perché” ed il “come”, distaccandosi dalla olocrazia e dalla oligarchia e che sia nutrita da una democrazia formata, anzi, in perenne formazione.

Occorre una conversione politica della politica.

E la Chiesa italiana? La Chiesa italiana, che ha un ruolo diverso, pastorale, su altro piano, in questo deve stare bene attenta a non fomentare né l’una né l’altra visione, perché non sarebbe foriera del Bene comune.

Per capirci non si può combattere la “cultura dello scarto” e poi sostenere governi che violentano la Costituzione, il Giusnaturalismo, il Buon senso, con leggi come la Cirinnà e leggi sul Testamento biologico, filo-eutanasiche e filo-soggettiviste. Non si può combattere per la vita, dal concepimento al suo tramontare, ed essere schiavi dell’8xmille.

L’8xmille è cosa buona, doverosa per lo Stato Italiano, ma il prezzo da pagare non può e non deve essere il piatto di Esaù. Altrimenti si alimenta la vanità e si smette di “salare” questa porzione di terra e di storia in cui la Provvidenza ci ha messi. Insomma l’8xmille non è un favore dei governi alla Chiesa, come i liberali e gli statalisti di ogni colore vogliono far passare per sostenere un “ricatto”, ma un bene che la Chiesa dona e ri-dona allo Stato ed ai suoi cittadini su altro piano e su altra forma. La Chiesa sia libera e non ceda a ricatti che la snaturano, potremmo dire “deontologicamente”, per natura propria e mandato.

Nel contempo la Chiesa deve stare bene attenta a non fomentare le olocrazie svuotate dei preambula umani e cristiani che agitano governi populisti.

La Chiesa deve dialogare con tutti ma senza smettere di salare con tutti gli accenti di cui è capace. Quindi non solo gli accenti “dialoganti” ma anche quelli “urticanti”. Se la Chiesa vuole bene e se si vuole bene. Occorre valorizzare tutte le voci e i loro accenti in essa presenti, con orchestrazione, appunto come voci, non come via univoca di dialogo. Le regole della comunicazione non sono in mano ai cattolici radical-chic che smettono di essere urticanti per regole di buon vicinato e che vengono chiamati in ogni dove come “super-esperti” di comunicazione. Moda che si aggiunge a moda. Danneggia chi la riceve e chi la porta. Solo la santità rende veramente esperti nel comunicare perché non segue le leggi della carne ma quelle dello Spirito.

La Chiesa deve stare attenta inoltre ad ogni forma di tecnocrazia valoriale che cosifica la persona alimentando la “cultura dello scarto” e nel contempo la deformazione della “economia”.

La cura delle cose di casa, dell’economia, non è profitto, resa, produttività, “fare di ogni cosa un mercato”, ma avere cura del Bene comune che è cura dell’io e del noi nel contempo. Della persona, delle persone e della compagine dello Stato.

È proprio il titolo e l’oggetto dell’enciclica di San Giovanni Paolo II

“La sollecitudine sociale della Chiesa, finalizzata ad un autentico sviluppo dell'uomo e della società, che rispetti e promuova la persona umana in tutte le sue dimensioni, si è sempre espressa nei modi più svariati.(SOLLICITUDO REI SOCIALIS, I, San Giovanni Paolo II)

La sollecitudine della Chiesa non è e non deve essere un vago sentimento, una moda, una “velina” appiccicata alla compagine sociale, alla vita politica.

“Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti.” (Sollicitudo Rei Socialis, 38)

Ci può essere qualcosa di più politico, più profetico, più trasformante di questa affermazione della enciclica del papa magno e santo?

Ricorda più recentemente il Santo Padre Francesco nel suo concetto di Ecologia integrale.

Il bene comune presuppone il rispetto della persona umana in quanto tale, con diritti fondamentali e inalienabili ordinati al suo sviluppo integrale. Esige anche i dispositivi di benessere e sicurezza sociale e lo sviluppo dei diversi gruppi intermedi, applicando il principio di sussidiarietà. Tra questi risalta specialmente la famiglia, come cellula primaria della società.” (Laudato si’, 157) Spiegando nel contempo che non si deve confondere il Bene Comune con il Benessere:

“Se la politica è dominata dalla speculazione finanziaria o l'economia si regge solo sul paradigma tecnocratico e utilitaristico della massima produzione, non si potranno neppure comprendere, né tantomeno risolvere i grandi problemi che affliggono l'umanità. … dobbiamo stare in guardia, perché molto facilmente ci abituiamo all'ambiente di inequità che ci circonda, che siamo diventati insensibili alle sue manifestazioni. E così confondiamo, senza accorgercene, il "bene comune" con il "benessere", e lì si scivola, a poco a poco, e l’ideale del bene comune, poiché si va perdendo, finisce nel benessere, specialmente quando siamo noi quelli che ne godiamo, e non gli altri. Il benessere che fa riferimento solamente all’abbondanza materiale tende ad essere egoista, tende a difendere gli interessi di parte, a non pensare agli altri, e a cedere al richiamo del consumismo. Così inteso, il benessere, invece di aiutare, è portatore di possibili conflitti e di disgregazione sociale; affermatosi come prospettiva dominante, genera il male della corruzione, che scoraggia e fa tanto danno. Il bene comune, invece, è superiore alla somma dei singoli interessi; è un passaggio da ciò che “è meglio per me” a ciò che “è meglio per tutti”, e comprende tutto ciò che dà coesione a un popolo: obiettivi comuni, valori condivisi, ideali che aiutano ad alzare lo sguardo al di là di orizzonti individuali.” (Visita di cortesia al Presidente dello Stato e Incontro con le autorità civili della Bolivia a La Paz, 8 luglio 2015)

Questi testi magisteriali non sono forse fonte e radici di ispirazione decisiva per la Politica, nel contempo per il suo “perché” ed il suo “come”? 


PRESENTE NELLA VERSIONE PER ABBONATI, 1 giugno 2018

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